Disturbi del comportamento alimentare e disturbi alimentari sono manifestazioni estreme di una serie di preoccupazioni per il peso e cibo, vissuta da donne e uomini. Questi includono anoressia nervosa, bulimia nervosa e binge eating.
Fame da stress
Articolo tratto dal sito: http://www.perdipesosystem.it/pagina.asp?id=301
Fame da stress e aumento di peso
Uno studio, realizzato in Finlandia, ha confermato che le persone che reagiscono allo stress mangiando con il tempo acquistano sempre più sovrappeso.
Nello specifico, i “mangiatori da stress” presenti nello studio consumavano più salumi, hamburger, pizza, cioccolato e alcool rispetto alle persone che non reagivano allo stress mangiando.
Esistono diversi ormoni e altri fattori biologici che, influenzano l’umore e sono legati a stress e aumento di peso.
Tra questi, il più importante è il cortisolo, un ormone prodotto dalle ghiandole adrenaliniche.
Il cortisolo, in particolare, agisce liberando zuccheri dai depositi di fegato e muscoli, ossia, scomponendo le proteine dei muscoli per trasformarle in altro glucosio.
Causa, quindi, iperglicemia per far fronte a richieste urgenti di energia, con la trasformazione degli zuccheri in eccesso in grasso.
Peraltro, causando perdita di muscolo, il cortisolo, inevitabilmente abbassa anche il metabolismo, facendo consumare all’organismo meno energia.
La comunità scientifica è in accordo con i media riguardo al ruolo degli ormoni che, influenzando l’umore, influenzano di conseguenza anche la gestione del peso.
Ad esempio, uno studio che ha preso in esame per quattro anni donne di età compresa tra i 35 e i 47 anni, ha scoperto che la depressione e l’ansia, connesse a loro volta allo stress, sono legate all’aumento di peso.
Infine, non ci sono dubbi sul fatto che le capacità intellettive che permettono di adattarsi all’ambiente (dette anche coping), necessarie per affrontare gli alti e i bassi della vita quotidiana sono state identificate come un’area con impatto significativo sul peso corporeo.
Gli studi mostrano che diete drastiche e fallimentari spesso sono la conseguenza di momenti di stress, a cui si risponde mangiando e aumentando ancora di più il peso.
Fondamentale diventa, dunque, per gli individui che rispondono a situazioni di stress mangiando, scegliere un sistema di dimagrimento che riduca lo stress e non che lo faccia aumentare con eccessive restrizioni.
- Pubblicato il Articoli, disturbi alimentari
Il cibo che fa bene alla mente
Il cibo che fa bene alla mente
Articolo tratto dal Corriere della sera
Il té può prevenire disturbi mentali Nutrigenomica e cibi protettivi. Sempre più nutrienti danno conferma della loro azione sulle cellule, sul dna delle cellule. Ora è la volta dei disturbi psichici, delle malattie mentali. Antiossidanti e depressione: il cibo della felicità. E in alcuni casi, come per i disturbi bipolari, anche con azione curativa. In inglese “food” fa rima con “mood”, cioè “umore”, e in effetti sono ormai svariati anni che nutrizionisti e psichiatri sostengono un potenziale ruolo della dieta e dei composti contenuti negli alimenti sul benessere della nostra psiche. Nell’ambito dell’ultimo congresso della Società europea di neuro farmacologia a Parigi è stato posto proprio l’accento sull’influenza del menù sulla sfera psichica.
BENESSERE MENTALE – L’apporto di sostanze antiossidanti e il loro ruolo sul benessere mentale. Addirittura in alcuni casi con qualità curative. E’ già noto che il cibo non è solo necessario per mantenerci in vita, per saziarci, per darci energia, per gratificare il palato, ma giocherebbe un ruolo fondamentale anche nel determinare il nostro stato d’animo e le nostre emozioni. Durante il Congresso, Michael Maes ha presentato numerosi dati sperimentali e clinici riguardo l’effetto di antiossidanti nutrizionali sui disturbi del comportamento. Proprio Maes è stato uno dei primi scienziati a dimostrare uno stretto nesso causale tra stress ossidativo a livello cerebrale e depressione. Negli ultimi mesi sono stati, inoltre, pubblicati studi scientifici che dimostrano la capacità di vitamine antiossidanti, quali la vitamina C e la vitamina E, di ridurre i sintomi depressivi. Molti polifenoli vegetali, come ad esempio la curcumina e le catechine del tè, hanno dimostrato anch’essi la capacità di ridurre disturbi del comportamento, e tale azione è stata direttamente associata alle proprietà antiossidanti e antiinfiammatorie di questi composti.
LA DIETA MEDITERRANEA PREVIENE I DISTURBI DEPRESSIVI – «Un paio di anni fa – commenta Giovanni Scapagnini, biochimico clinico dell’università del Molise – lo studio spagnolo Sun, condotto dall’università di Navarra, ha dimostrato come l’aderenza alla dieta mediterranea e la corretta assunzione di sostanze nutrizionali ad azione antiossidante svolga un ruolo benefico nei confronti dell’insorgenza di disturbi depressivi nella popolazione sana». C’è poi un importante lavoro sviluppato nell’ambito dello studio InChianti, condotto in Toscana su una popolazione di circa 1000 anziani, che ha evidenziato come la scarsa assunzione alimentare di carotenoidi e un basso livello ematico di queste sostanze, sia fortemente associato ad un maggior rischio di sviluppare depressione. «Fino ad ora – continua Scapagnini, che collabora all’Osservatorio Aiipa (Associazione italiana industrie prodotti alimentari – Area integratori alimentari) – gli studi scientifici alla base di questa teoria si sono concentrati sulla capacità di alcuni alimenti di modulare il rilascio e la sintesi dei neurotrasmettitori responsabili del tono dell’umore, quali serotonina, dopamina e noradrenalina. A Parigi, quindi, nutrigenomica e alimenti sono stati al centro dell’attenzione. Richiamando elementi già allo studio per altre patologie, come i tumori o le malattie cardiovascolari, come riportato nel libro “Verso la scelta vegetariana” (Giunti editore) che anticipa anche studi sulla prevenzione a tavola di malattie neurodegenerative, quali Alzheimer e Parkinson. Insomma anche l’infiammazione cellulare può essere prevenuta e combattuta a tavola. Con frutta e verdura, chiave del menù Mediterraneo, sempre più al centro delle evidenze scientifiche.
- Pubblicato il Articoli, disturbi alimentari
Binge Eating Disorder
Cos’è il “Binge Eating Disorder” (BED) o “disturbo da Alimentazione Incontrollata ”?
Dott.ssa Fanny Migliaccio psicologa, Roma
Anche se il binge-eating disorder è il più comune di tutti i disturbi del comportamento alimentare, non è ancora considerato una condizione psichiatrica.
Il Binge Eating Disorder (in italiano sindrome da alimentazione incontrollata) è un disturbo del comportamento
alimentare che solo di recente è stato descritto in modo chiaro ed esaustivo.
Il BED è presente nel 30% circa dei casi di soggetti obesi che richiedono una cura per la loro situazione.
La difficoltà ad inquadrare questa situazione è legata alla definizione di abbuffata e ai fattori che possono favorirne la persistenza. L’abbuffata, così come avviene nella bulimia nervosa, viene definita dalla sensazione di perdita di controllo, dal senso di colpa e dai pensieri negativi che la accompagnano. Nei soggetti BED è frequente la presenza di un quadro psicologico problematico caratterizzato dalla depressione, dall’insoddisfazione corporea e da un comportamento alimentare variamente disturbato. Negli obesi BED i disturbi dell’umore e altri quadri psicopatologici sembrano essere presenti in circa l’80% dei casi.
Criteri diagnostici per il Disturbo da Alimentazione Incontrollata o Binge Eating Disorder (BED) (DSM IV)
1. Episodi ricorrenti di abbuffate compulsive. Un’abbuffata compulsiva è definita dai due caratteri seguenti (entrambi necessari).
a. Mangiare,in un periodo di tempo circoscritto (per esempio nell’arco di due ore), una quantità di cibo che è indiscutibilmente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso periodo di tempo in circostanze simili.
b. Senso di mancanza di controllo sull’atto di mangiare durante l’episodio (per esempio sentire di non poter smettere di mangiare o di non poter controllare cosa o quanto si sta mangiando).
2. Gli episodi di abbuffate compulsive sono associati ad almeno tre dei seguenti caratteri:
– Mangiare molto più rapidamente del normale;
– Mangiare fino ad avere una sensazione dolorosa di troppo pieno;
– Mangiare grandi quantità di cibo pur non sentendo fame;
– Mangiare in solitudine a causa dell’imbarazzo per le quantità di cibo ingerite;
– Provare disgusto di sé, depressione o intensa colpa dopo aver mangiato troppo.
3. Le abbuffate compulsive suscitano sofferenza e disagio.
4. Le abbuffate compulsive avvengono, in media, almeno due giorni la settimana per almeno sei mesi.
Il disturbo non si riscontra soltanto nel corso di anoressia o di bulimia nervosa.
Le cause – Ci sono solo ipotesi. La più gettonata è che il Binge Eating Disorder sia legato a uno stato depressivo del soggetto anche se non è chiaro se sia la depressione a innescare il Binge Eating Disorder o il contrario. Di certo un umore negativo (rabbia, frustrazione, noia ecc.) facilita la patologia. Capire le cause è molto importante perché a seconda della causa si può scegliere il terapeuta adatto. Dal punto di vista psicologico il soggetto affetto da Binge Eating Disorder avrebbe una scarsa autostima di sé e l’abbuffata non sarebbe che il modo per riempire il proprio vuoto interiore.
Gli alimenti diventano una sorta di valvola di sfogo per cercare di gestire ansia, rabbia, frustrazione, ma il consumo compulsivo porta soltanto ulteriore incremento di tali emozioni, altri disturbi psicologici come la depressione e/o disturbi del sonno, così come l’aumento del peso corporeo, insieme ad una serie di patologie fisiologicamente rischiose, come ad esempio l’Obesità, il diabete, l’ipertensione arteriosa o le neoplasie.
Risultano inoltre presenti eccessive preoccupazioni per il proprio aspetto fisico e per il proprio peso, così come problematiche sociali, noia, solitudine e tristezza.
La dinamica che si crea è quella del continuo alternarsi di abbuffata-digiuno e di discontrollo-controllo, dove, in un circolo sempre più stretto e negativo, lo sforzo di astinenza dal cibo provoca la successiva perdita di controllo, al quale poi si tenta di rimediare nuovamente con del digiuno.
Il Binge Eating Disorder si ritrova più frequentemente negli adulti tra i 30 e i 40 anni e in modo sostanzialmente uguale nei due sessi; inoltre le persone afflitte da tale disturbo presentano spesso situazioni di sovrappeso o di obesità e fluttuazioni di peso corporeo rilevanti (anche più di 10 chili in 3-4 settimane).
Copyright ©
- Pubblicato il disturbi alimentari
Quei chili di troppo che ci rassicurano!
Psicologia –Articolo tratto da Perdipeso System
La perdita di peso può anche essere percepita come minaccia alla propria salute, ossia, come qualcosa di spiacevole, che crea ansia anche nelle persone obese o in soprappeso.
Questo, per noi occidentali, che viviamo in paesi ricchi di cibo, è un sentimento che può sorprendere o sembrare fuori luogo, ma è perfettamente normale e bisogna farci i conti.
Sicuramente il cibo abbonda, ma la nostra società impone corpi da “affamati”, donne bellissime che sembrano non mangiare mai.
Basta citare i racconti degli immigrati dal terzo mondo, che arrivati in altri paesi, venivano colti da una fissazione incontrollabile per il cibo, come unica compensazione e rassicurazione sul fatto di aver lasciato alle spalle tutto il loro mondo.
Sembra strano, ma la paura della morte per fame è scritta nel nostro DNA e non ci abbandona, al punto tale che esistono persone che conservano la stabilità e l’equilibrio mentale, mantenendo qualche chilo in più.
Per queste persone che non hanno superato e non sono consapevoli di tale paura non è la dieta ipocalorica la soluzione corretta. Anzi risulterebbe ancora più dannosa, aumentando questa paura inconscia e facendo ingrassare ulteriormente il soggetto in questione.
Spesso si è raffrontato il soprappeso con le condizioni economiche o con le classi sociali, attribuzione discutibile, ma che rimanda la paura del peso e della fame a sicurezza economica e a stabilità sociale.
Lo satus mentis ed il comportamento a tavola delle nostre nonne, ne sono la conferma: abbondanza di cibo e chili di troppo sono sintomo di ricchezza e benessere.
Pensiamo solo per un attimo all’inizio della guerra del golfo: in Italia furono svuotati, presi d’ assalto i supermercati, eppure razionalmente, in Italia, non si rischiava di morire di fame.
Dunque dobbiamo anche fare i conti con il fatto che l’energia di riserva, il grasso di deposito, ci rassicura contro il più pericoloso nemico dell’uomo : LA FAME.
La morte per fame è ancora oggi, nonostante il progresso, un fantasma sempre presente…
Per contro, incombe paradossalmente, la morte per eccesso di cibo…..
La soluzione per poter combattere tale smarrimento, e tutte le insicurezze connesse al proprio rapporto con il cibo è dunque, razionalizzare e combattere queste paure!
Riconoscerle, conoscersi, ascoltarle, ascoltarsi è il primo passo per poter scendere di peso.
- Pubblicato il disturbi alimentari
Anoressia nervosa
Psicologia – Dott.ssa Fanny Migliaccio psicologa, Roma
QUALI SONO LE CAUSE DELL’ANORESSIA?
Le cause di questa malattia non sono ancora chiare, infatti possono essere molteplici. Nel tentativo di risalire alle origini dei disturbi dell’alimentazione gli scienziati hanno preso in considerazione la personalità, il bagaglio genetico, l’ambiente e le caratteristiche biochimiche dei pazienti.
Alcuni tratti della personalità che accomunano gli anoressici sono una scarsa stima di sé stessi, asocialità, e una tendenza al perfezionismo. Questi soggetti si rivelano spesso buoni studenti ed ottimi atleti.
I disturbi dell’alimentazione si ripetono spesso fra gli appartenenti alla stessa famiglia, in particolare fra i parenti di sesso femminile. Una ragazza ha una possibilità da 10 a 20 volte superiore di sviluppare l’anoressia se per esempio ha un fratello o una sorella affetti da questa patologia.Queste scoperte farebbero pensare che fattori genetici siano alla base della predisposizione ai disturbi del comportamento alimentare o l’apprendimento dai famigliari del mito della magrezza. Modi comportamentali e l’ambiente possono rivelarsi concause.
I disturbi dell’alimentazione sono diffusi soprattutto nei Paesi occidentali ed in quelli industrializzati, dove la magrezza è diventata un modello di fascino.
Certamente gli stress possono aumentare il rischio dei disturbi del comportamento alimentare, ma possono essere causa anche di altri disturbi della personalità.
L’anoressia come gli altri disturbi del comportamento alimentare e più in generale come i disturbi fobico-ossessivi può essere considerato un disturbo psico-sociale.
Questo significa che per la comprensione dei processi che mantengono il disturbo nel tempo non possiamo non considerare gli aspetti relazionali e sociali della vita del paziente.
Le anoressiche, tendono a presentarsi come persone estremamente dotate, intelligenti, capaci. Addirittura possono essere ottime cuoche e cucinare spesso per gli altri, familiari . A scuola ottengono generalmente buoni se non ottimi risultati. Quando questo accade l’ipotesi di un disturbo ossessivo-compulsivo di personalità sottostante è da tenere maggiormente in considerazione.
In realtà il paziente con diagnosi di anoressia è probabile che non abbia potuto sperimentare e sviluppare un controllo interpersonale nei confronti delle figure significative di riferimento (in particolare i genitori). Significa che non c’è stata la possibilità, soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo psicologico, di sperimentare quello che in psicologia definiamo senso di volizione ovvero la sensazione di essere noi, con comportamenti e pensieri, a condizionare gli eventi.
Questo porta il paziente anoressico a rivolgere il proprio controllo su se stesso e sul proprio corpo. Non mangiare significa per il paziente con diagnosi di anoressia sentire che agisce un controllo volontario superiore ad una spinta “fisiologica” dell’organismo. Questo offre sensazione di potere. In genere nelle prime fasi dello sviluppo patologico c’è un picco di euforia che scaturisce proprio dalla sensazione di gestione e controllo.
Poi si passa inesorabilmente verso una fase più cupa in cui tutta l’attenzione sarà posta sull’essere malati, sul sentirsi malati. Non tanto perché ci si può rendere conto di essere anoressici, ma quanto perché sono gli altri, familiari e partner in testa, che ce lo ricordano costantemente.
La paura per un processo che tende verso la cronicizzazione e l’irreversibilità porta chi ci sta intorno a cercare di fare qualcosa per aiutare a risolvere un problema che, però, per l’anoressica non è così grave come sembra agli altri.
A questo punto c’è una lotta che si crea tra il paziente e gli altri, compresi i sistemi di cura tradizionali che noi chiamiamo conflitto psico-sociale.
Ad ogni occasione si cerca di convincere il paziente a mangiare, spesso si assistono a minacce, e la maggior parte delle volte i genitori preparano la tavola anche se sanno che il proprio figlio non mangerà, come se “nutrissero” la speranza che avvenga un miracolo. Ogni atto teso a cercare di convincere il paziente a mangiare è destinato a fallire e alimenta incomprensioni che portano il paziente a mantenere il sintomo.
Il sintomo per il paziente è una conquista e più si andrà contro tale conquista anche se patologica e disfunzionale, maggiore sarà la possibilità che il sintomo si cronicizzi.
Questo “desiderare il sintomo” (desiderio non cosciente) nasce dal loop disfunzionale che si genera dal conflitto psico-sociale di cui abbiamo parlato.
Quando il paziente con anoressia è un adolescente l’intervento psicologico parallelo sul paziente e sui genitori è auspicabile. Si chiede però al genitore uno sforzo nell’accettare a volte indicazioni che possono sembrare contrarie al senso comune.
L’intervento psicologico è mediamente breve. Nei casi di pazienti fino ai 30 anni in genere la durata media è di 15-20 sedute più un breve processo di mantenimento.
L’intervento psicologico è valido finché il paziente non abbia raggiunto il limite di peso sotto il quale è necessario il ricovero ospedaliero.
Copyright ©
- Pubblicato il Articoli, disturbi alimentari