Diventare genitori
Diventare gentori è qualcosa che modifica profondamente le singole personalità della coppia, coppia che diventa famiglia e che dovrà sviluppare la capacità di occuparsi e preoccuparsi del benessere del nuovo arrivato.
La coppia dovrà modificare il suo equilibrio, permettendo alla genitorialità, che si costituisce sia dai genitori sia delle caratteristiche del figlio, di stabilizzarsi. In tal modo l’essere padre o madre non sono mai un prodotto individuale, ma l’espressione dell’interazione che si evolve e si modifica nel tempo determinando mutamenti interni ed esterni.
Se nell’innamoramento ad essere centrale nella coppia è “l’essere con l’altro” ora è “il bambino” a diventare centrale.
Il passaggio dalla relazione a due ad una relazione a tre comporta una serie di profonde modificazioni ed elaborazioni nell’universo emotivo della coppia. Si assiste ad una redistribuzione delle energie (come nel caso di Mauro e Stefania) a favore di un processo che possa includere i bisogni corporei, affettivi, emotivi, cognitivi e sociali del bambino.
Il figlio nella coppia può rappresentare “l’altro da sé”, il diverso, l’imprevedibile, che come tale può essere accettato o rifiutato.
In questa situazione aperta ai cambiamenti la coppia sarà capace di accettare il bambino come componente della famiglia?
I padri dal canto loro si sentono esclusi da questa relazione madre-bambino, cercando di capire come entrare a farne parte. Spesso sono loro a dover affrontare (praticamente) la nuova situazione economica che all’inizio può essere percepita come molto pesante. L’uomo che diventa padre spesso fatica a chiedere le attenzioni “ritirandosi” nelle preoccupazioni.
In questo clima frenetico tutto diventa più faticoso, possono nascere rancori e preoccupazioni che non trovano uno sfogo.
A volte a causa della stanchezza, della routine che diventa molto frenetica, dell’attenzione che si sposta completamente sul bambino, si perde la voglia di “impiegare energie” su se stessi e sul partner. In questi casi chiedere l’aiuto di uno psicoterapeuta può agevolare i partner nel ritrovare l’armonia, costruendo un nuovo equilibrio, una nuova immagine della famiglia che includa la genitorialità.
Con l’aiuto di un esperto si potrà lavorare sulla comunicazione volta alla risoluzione della conflittualità. In questo modo ad ogni partner sarà possibile avere maggiori informazioni sull’altro e su come egli stesso è percepito dal compagno. Gli scambi comunicativi spesso possono contraddire le proprie aspettative, facendo emergere l’urgenza di un cambiamento nel comportamento per adattarsi alla nuova situazione.
L’attenzione si potrà concentrare sullo spazio creativo della coppia, spazio che permette di rintracciare soluzioni nuove per la situazione vissuta.
La terapia stessa diventa un momento d’incontro, un momento intimo che non include il terzo (bambino) e permette di rientrare in quella situazione a due, momento esclusivo della coppia.
Per affrontare questi cambiamenti evolutivi infatti è molto importante non perdere di vista il fatto che:
E’ la coppia a fondare la famiglia e se si perde di vista questo anche i figli (seppur piccoli) potranno risentire del clima non sereno. Piccole attenzioni, comunicazione, creare momenti di coppia esclusivi, cercare di sostenere l’altro sono tutti ingredienti che ben possono proteggere ed aiutare nel superamento di un momento di cambiamento.
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Depressione Post-Partum
Il quadro clinico definito Depressione Post Partum o “Depressione dopo il parto” colpisce fino al 10-15% delle madri.
Si tratta di un disturbo dell’umore legato alle condizioni del parto o del bambino nei momenti immediatamente successivi alla nascita.
Il suo esordio avviene dal 3° mese al primo anno dopo il parto.
La sintomatologia della Despressione Post Partum riguarda:
– eccessiva preoccupazione o ansia;
– irritabilità, sensazioni di sovraccarico e sotto pressione;
– difficoltà nel prendere decisioni;
– umore depresso;
– perdita di speranza nel futuro;
– marcata perdita di interesse o di piacere nel fare le cose;
– compromissione del sonno e dell’appetito;
– sentimenti di colpa, vergogna e inidoneità al ruolo di madre (avvertire il bambino come un peso, non riuscire a provare emozioni nei suoi confronti, sentirsi inadeguate nella cura del bambino, avere paura di restare sole con lui, pensare di essere madri e mogli incapaci, non riuscire a concentrarsi nelle cose quotidiane aventi a che fare con l’interazione madre-bambino come riconoscimento dei bisogni reciproci, sintonizzazione emotiva, semplici cure parentali).
Esistono diverse forme di Depressione Post Partum:
–con tendenza all’isolamento e ritiro dalle interazioni col bambino (perdita d’iniziativa, diminuzione della stimolazione verbale e ludica, devitalizzazione della comunicazione, mancata trasmissione di gioia);
– con agitazione inquieta caratterizzata da intrusività e mancanza di rispetto per i ritmi del bambino (scarsa interazione corporea).
Una Depressione Post partum non curata tende a cronicizzare nel tempo e riduce le possibilità di sviluppare una buona sintonia col bambino .
Infine, tale sintomatologia depressiva della madre può determinare nel bambino un conseguente disturbo nello sviluppo.
I fattori di rischio della Depresione Post Partum sono:
– episodi di ansia o depressione durante la gravidanza;
– storia personale o familiare di depressione;
– eventi traumatici nell’ultimo anno (lutti);
– conflitti coniugali;
– isolamento sociale o condizioni socioeconomiche sfavorevoli;
– storia di sindrome premestruale o disturbo disforico premestruale;
– precedenti episodi di depressione post partum;
– disturbi della funzionalità tiroidea.
Il trattamento della Depressione Post partum prevede come primo passo il riconoscimento dei sintomi, parlandone con personale preparato. Per questa ragione risulta fondamentale il coinvolgimento dei familiari più vicini.
Una buona terapia della Depressione Post partum si basa su un percorso di sostegno psicologico e psicoterapeutico mirante a instaurare un nuovo equilibrio nella vita della neo-mamma, da integrare ad eventuale trattamento farmacologico.
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Gestione dei figli in caso di separazione
La parola “separazione” apre la riflessione su vari livelli di pensiero:
- da una parte si sta evidentemente parlando della disunione di due persone che decidono di non stare più insieme, e
- dall’altra viene implicata la necessità di una ridefinizione di determinati criteri familiari.
Nel caso ci siano figli minorenni, in particolare, la separazione coniugale comporta modalità di relazioni non più libere, ma (soprattutto per i primi tempi) rigidamente regolate da decisioni prese dagli avvocati e/o emesse da un organo esterno, cioè il Tribunale. Solo con il tempo, e nel caso di ex coniugi in grado di elaborare realmente la loro separazione, questa inflessibilità può essere superata, a tutto vantaggio del rapporto tra genitori e figli.
La separazione è indubbiamente un evento critico e doloroso da affrontare, ma per i figli in tantissimi casi è molto più difficile fare fronte al periodo che precede il trasferimento di uno dei coniugi, caratterizzato da un conflitto distruttivo più o meno esplicito tra i genitori che vivono ancora sotto lo stesso tetto. Spesso gli adulti faticano a comprendere questa situazione, e si sforzano invece di continuare a vivere insieme “per il bene dei bambini”, senza interrogarsi francamente su cosa significhi per i minori questa affermazione. I figli, infatti, vengono spesso inconsapevolmente coinvolti dai genitori nel dirimere i loro conflitti, si auto-investono del ruolo di mediatori, o di messaggeri, o ancora si occupano di questioni che evidentemente non possono riguardarli .
In queste progressive fasi di trasformazione della famiglia, la comunicazione ai figli della decisione di separarsi rappresenta spesso il compito più difficile da affrontare per i genitori.
- Da una parte, infatti, si trovano emotivamente molto coinvolti dalla delusione per il fallimento del proprio rapporto di coppia,
- Dall’altra possono provare sensi di colpa nei confronti dei figli, e difendersene evitando di affrontare la faccenda in modo diretto.
Alcuni preferiscono tenere la cosa per sé, non rendendo partecipi i minori, non capendo che la mancanza di comunicazione può essere deleteria per un figlio, che accorgendosi che qualcosa non va, non farà altro che cercare delle spiegazioni logiche utilizzando la propria fantasia, e quindi spesso colpevolizzandosi ingiustamente.
Inoltre, il coinvolgere il figlio come interlocutore evita il rischio che venga utilizzato come “oggetto” da rivendicare all’interno del conflitto, come fosse una sorta di merce di scambio… bisogna però evidenziare come il termine “interlocutore” non significhi rivolgersi al minore come fosse una valvola di sfogo, una persona a cui confidare le proprie sofferenze, magari rovesciandogli anche addosso tutti i presunti difetti dell’altro coniuge. È necessario piuttosto mantenere sempre ben chiaro il pensiero che qualunque cosa succeda tra i coniugi, l’immagine che ha il figlio di ciascuno possa rimanere il più possibile preservata da attacchi e rivendicazioni.
Il dolore provato da un figlio di fronte alla separazione dei genitori c’è in ogni caso, va affrontato, e non può essere smaltito tanto facilmente: tuttavia, spesso anche per l’incapacità dei genitori di accogliere la sofferenza dei figli – perché troppo concentrati sulla propria -, molti ragazzini imparano in fretta a mascherare le proprie emozioni, di fatto negando la propria sofferenza, allontanandola, e trovandosi a poter avere persino paura di rimanere da soli con se stessi, per non doversi confrontare con l’inevitabile senso di vuoto.
Il grande turbamento emotivo e psicologico dei genitori può portare a due scenari opposti, che rappresentano due estremi:
- possono arrivare a non avere più a disposizione energie, capacità e desiderio di prendersi cura dei figli, finendo facilmente per trascurare, che lo vogliano o meno, le esigenze dei piccoli, che sono invece i soggetti più bisognosi di una presenza forte e fidata che li accompagni nel difficile transito verso una nuova forma di vita ed un nuovo assetto familiare
- investono la maggior parte degli affetti sui figli, di fatto attribuendo loro dei ruoli impropri e arrivando a caricarli di fardelli che non dovrebbero appartenere loro: come se cercassero così un nuovo punto di riferimento, essendo venuto a mancare quello coniugale.
È fondamentale che, dopo la separazione, i figli
- abbiano accesso ad entrambi i genitori,
- possano mantenere (salvo, ovviamente, casi estremi di violenze o simili) un rapporto significativo con il coniuge non collocatario e
- siano rassicurati sul fatto che con la separazione non perderanno né il papà né la mamma. Soprattutto i bambini, infatti, quando assistono all’abbandono della casa coniugale da parte del padre o della madre ragionano più o meno così: “se ho perso te, posso perdere chiunque“.
La separazione, pertanto, dovrebbe essere percepita dal figlio come un cambiamento, ma mai come una perdita. Ciò che in questi casi dovrà accadere è che il genitore collocatario favorisca e non ostacoli la relazione tra i figli e l’altro genitore e che il genitore non collocatario sappia tollerare il dolore che si determina a seguito dell’eventuale rifiuto dei figli.
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Gelosia e possessività
La gelosia è “una risposta emotiva legata al pericolo di perdita e sottrazione del partner, che è connessa a reazioni di angoscia, rabbia e aggressività che hanno la funzione di proteggere la relazione stessa” (Bowlby, 1988).
Si manifesta con gradi diversi di intensità dipendenti dallo stato della relazione fra i due partner. Bisogna fare una distinzione tra gelosia “sana” e gelosia “irrazionale”, in taluni casi patologica:
La gelosia “sana” è quella che avvertiamo quando si profila una minaccia “concreta” alla nostra relazione affettiva, è un sentimento inseparabile dal’amore per il/la partner ed è naturale se presente a livelli accettabili.
La gelosia “irrazionale” si manifesta quando subentra il timore di perdere qualche cosa che si ritiene essenziale per il proprio benessere e si manifesta anche in assenza di un motivo valido.
La gelosia “irrazionale” prende origine da sospetti che non hanno una prova nella realtà e la cui origine è da collocare in uno stato di angoscia che prende forma solo “nella mente” della persona senza avere alcun riscontro nella realtà. Nella mente del geloso patologico si creano continue distorsioni della realtà ed interpretazioni erronee degli eventi, fino ad arrivare a dei veri e propri “deliri di gelosia ” che spesso sono all’origine di fatti di cronaca come i delitti passionali.
Possessività
La gelosia dunque raggiunge forme non controllabili nei soggetti in cui l’insicurezza nel campo affettivo porta alla ricerca del controllo e del possesso del partner (limitando gli spazi della sua vita personale). Probabilmente i soggetti insicuri, maggiormente segnati dalle esperienze di solitudine rispetto ai soggetti sicuri, nel corso di una relazione rimangono in una posizione di allerta che li induce ad “interpretare” i segni di insoddisfazione come inevitabili presagi della conclusione della loro storia (Rusbult, 1993; Gaines, 1994; Jeon, 1994).
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Infedeltà
La mia opinione su questo comportamento è che il tradimento si verifica a causa della rottura del rapporto, piuttosto che essere la causa del guasto. Le persone che si sentono realizzate all’interno di un rapporto, quasi mai guardano al di fuori di esso per appagare se stessi. I tradimenti sono spesso usati come un modo per sfuggire alle difficoltà della relazione attuale, un modo per abbandonare la responsabilità di lavorare sui problemi della coppia.
Se siete vuoti e insoddisfatti del vostro rapporto, forse è perché non state offrendo tutto ciò che potete ! Alla ricerca di conforto altrove, si aggiunge più dolore e sofferenza a quello che era già presente. Se siete voi ad allontanarvi dal partner, avete la responsabilità di non aver affrontato con coraggio gli elementi insoddisfacenti del vostro rapporto.
Le relazioni possono guarire dal dolore devastante del tradimento , ma con il pieno impegno di responsabilità, fondamentale per la guarigione. Bisogna essere disposti a fare tutto il necessario per ricostruire la fiducia che è stata perduta. Molti non hanno il coraggio o il carattere di fare questo. Se lo si fa, si ha la possibilità di creare un rapporto ancora più profondo e significativo. . . “Ciò che non uccide ci rende più forti”.
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Il Risentimento uccide il rapporto di coppia
Il risentimento uccide i rapporti di coppia, è il killer numero uno . Si tratta di un lento veleno, mina il rispetto, l’amore e la fiducia reciproca. E’ fondamentale nel trattamento delle relazioni, scoprire questi risentimenti spesso sconosciuti o inespressi. L’accento non è su come l’altra persona deve cambiare, ma piuttosto su cosa si può fare per cambiare se stessi e portare qualcosa di meglio alla coppia. Non è questione di “colpa di…”, ma di auto-responsabilità.
Quando i risentimenti affiorano rapidamente diminuisce la comunicazione, le aspettative non sono soddisfatte e vecchie ferite (molti delle quali dai primi anni) sono trasportate nel presente. Questo è molto comune nelle coppie ed è fonte di dolore nei matrimoni. I traumi sono esperienze attuali, che assomigliano ai modi in cui siete stati feriti, abbandonati o trattati , derivanti dal passato. Essi spesso non sono coscientemente in contatto con ciò che sta accadendo nel vostro rapporto attuale,ma si manifestano come fantasmi del vostro passato.
Un esempio potrebbe essere quando il vostro partner assume un tono con voi che ricorda quello di un adulto importante della vostra infanzia, che era responsabile de vostro dolore. A volte dobbiamo pensare a lungo e duramente per fare questi collegamenti. Un campanello d’allarme di quando ciò accade è l’assunzione di una reazione esagerata quando ci sentiamo feriti.
I risentimenti spesso rappresentano una conseguenza diretta dell’incapacità di una persona di comunicare i propri bisogni e / o l’incapacità di prendersi la responsabilità di se stessi in primo luogo. I risentimenti portano direttamente alla perdita del rispetto per l’altra persona, la perdita di rispetto porta a problemi sessuali, ai sentimenti più cattivi , alla colpa e all’allontanamento.
Non è affascinante come tutte queste problematiche siano collegate? La verità è che non possiamo mai veramente rispettare noi stessi a meno che non mostriamo il coraggio e la volontà di assumerci la piena responsabilità di ciò che ci appartiene, che non deriva da nessun altro . Una volta che la vecchie ferite sono neutralizzate e che ognuno ha mostrato il coraggio di riconoscere i propri errori, la guarigione diventa possibile.
Per quanto i risentimenti siano veleno per un rapporto, la consapevolezza e il perdono reciproco sono la sua salvezza .
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Sesso e intimità
Il sesso è una delle sfere più comuni di conflitto in molte relazioni e quando non funziona più è il primo sintomo che la relazione non sta funzionando. Escludendo le cause fisiche o mediche, di solito è dentro al rapporto che bisogna rintracciare la causa, per esempio, se le comunicazioni sono diventate ostili , l’ostilità si manifesterà anche sessualmente . Spesso questo è uno dei risultati naturali delle “aspettative non realizzate“.
Delusione cronica e aspettative disilluse possono manifestarsi in una grave perdita di intimità in un rapporto.
Per complicare ulteriormente le cose, come regola generale,le interazioni sessuali hanno un significato diverso per gli uomini e per le donne . Le donne amano sentirsi legate prima emotivamente ad un uomo e solo dopo arriva il rapporto fisico. Per gli uomini, invece, è in primo luogo il sesso il mezzo con cui si sentono legati ad una donna .
Se la vostra vita sessuale ha bisogno di una messa a punto, è probabile che il vostro rapporto abbia bisogno di aiuto.
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Elaborazione e superamento della perdita
Attraverso la condivisione e il rispecchiamento i partecipanti troveranno nuove modalità di sostegno per affrontare la perdita dovuta ad un lutto, o ad un abbandono, recente o passato, di una persona cara.
Il gruppo come fonte di scambio
Il gruppo permette di sostenere la persona nelle fasi successive alla perdita di un proprio caro, e nello stesso tempo di soddisfare un bisogno di accoglienza, di scambio e di relazioni sociali che permettano di uscire da un senso di solitudine che spesso si vive dopo la morte di un familiare.
L’esperienza della perdita è un evento che può mettere in discussione il nostro modo di stare al mondo, e provoca spesso un senso di distacco tra noi e gli altri, tra ciò che è reale e ciò che non lo è. La morte destabilizza le nostre certezze, ci pone davanti i nostri limiti di esseri umani e quando la si conosce da vicino difficilmente si riesce a cancellarla, temendo la prossima volta che avremo a che fare con essa. Nei gruppi con persone che hanno subito un lutto o una perdita , i partecipanti arrivano portando il loro carico di dolore, il senso di disorientamento, di disperazione, di sradicamento e il timore di non essere capaci di riprendersi. Il dolore sembra non finire mai, e si ha difficoltà di comunicare fino in fondo ciò che si prova anche con le persone più vicine.
Ascoltare le sensazioni e le emozioni di chi ha vissuto le stesse esperienze
è il percorso che porta i partecipanti al gruppo a ri-conoscere il proprio lutto, e allo stesso tempo a riuscire a conviverci e trasformarlo in qualcosa di significativo per sé. Il gruppo non si limita semplicemente ad accogliere la tristezza, la paura, la solitudine del singolo senza una reale comprensione del dolore, ma riesce a valorizzare l’esperienza di ogni partecipante, arricchendola di emozioni prima congelate, e questo anche grazie allo psicologo, che non ha la funzione di spiegare o peggio, interpretare, le singole situazioni, ma di permettere, a ognuno dei partecipanti, di cogliere la rilevanza delle proprie esperienze, la particolarità del proprio modo di fare fronte alle difficoltà e quindi di valorizzarle. Attraverso il processo del rispecchiamento reciproco che si crea nel gruppo,i partecipanti cominciano a riconoscere le proprie modalità di reagire alle situazioni e a modificare i loro comportamenti , nel momento in cui, proprio grazie al confronto con gli altri partecipanti, ci si rende conto che non sono più utili né efficaci.
Questo cambiamento può avvenire proprio grazie allo scambio tra chi ha vissuto e vive situazioni simili. Il gruppo permette di far ricordare ma allo stesso tempo sostiene la sensazione di perdita che si arricchisce di immagini, elaborazione e accettazione del lutto. I ricordi non restano necessariamente saldati al passato, ma si intrecciano con il presente e con il futuro, immaginando e costruendo una nuova,sostenibile progettualità personale.
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