Fanny Migliaccio Psicoterapeuta Roma

Psicologia – Dott.ssa Fanny Migliaccio psicologa, Roma

QUALI SONO LE CAUSE DELL’ANORESSIA?

Le cause di questa malattia non sono ancora chiare, infatti possono essere molteplici. Nel tentativo di risalire alle origini dei disturbi dell’alimentazione gli scienziati hanno preso in considerazione la personalità, il bagaglio genetico, l’ambiente e le caratteristiche biochimiche dei pazienti.

Alcuni tratti della personalità che accomunano gli anoressici sono una scarsa stima di sé stessi, asocialità, e una tendenza al perfezionismo. Questi soggetti si rivelano spesso buoni studenti ed ottimi atleti.

I disturbi dell’alimentazione si ripetono spesso fra gli appartenenti alla stessa famiglia, in particolare fra i parenti di sesso femminile. Una ragazza ha una  possibilità da 10 a 20 volte superiore di sviluppare l’anoressia se per esempio ha un fratello o una sorella affetti da questa patologia.Queste scoperte farebbero pensare che fattori genetici siano alla base della predisposizione ai disturbi del comportamento alimentare o l’apprendimento dai famigliari del mito della magrezza. Modi comportamentali e l’ambiente possono rivelarsi concause.

I disturbi dell’alimentazione sono diffusi soprattutto nei Paesi occidentali ed in quelli industrializzati, dove la magrezza è diventata un modello di fascino.
Certamente gli stress possono aumentare il rischio dei disturbi del comportamento alimentare, ma possono essere causa anche di altri disturbi della personalità.

L’anoressia come gli altri disturbi del comportamento alimentare e più in generale come i disturbi fobico-ossessivi può essere considerato un disturbo psico-sociale.
Questo significa che per la comprensione dei processi che mantengono il disturbo nel tempo non possiamo non considerare gli aspetti relazionali e sociali della vita del paziente.
Le anoressiche, tendono a presentarsi come persone estremamente dotate, intelligenti, capaci. Addirittura possono essere ottime cuoche e cucinare spesso per gli altri, familiari . A scuola ottengono generalmente buoni se non ottimi risultati. Quando questo accade l’ipotesi di un disturbo ossessivo-compulsivo di personalità sottostante è da tenere maggiormente in considerazione.
psicologia roma anoressiaIn realtà il paziente con diagnosi di anoressia è probabile che non abbia potuto sperimentare e sviluppare un controllo interpersonale nei confronti delle figure significative di riferimento (in particolare i genitori). Significa che non c’è stata la possibilità, soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo psicologico, di sperimentare quello che in psicologia definiamo senso di volizione ovvero la sensazione di essere noi, con comportamenti e pensieri, a condizionare gli eventi.
Questo porta il paziente anoressico a rivolgere il proprio controllo su se stesso e sul proprio corpo. Non mangiare significa per il paziente con diagnosi di anoressia sentire che agisce un controllo volontario superiore ad una spinta “fisiologica” dell’organismo. Questo offre sensazione di potere. In genere nelle prime fasi dello sviluppo patologico c’è un picco di euforia che scaturisce proprio dalla sensazione di gestione e controllo.
Poi si passa inesorabilmente verso una fase più cupa in cui tutta l’attenzione sarà posta sull’essere malati, sul sentirsi malati. Non tanto perché ci si può rendere conto di essere anoressici, ma quanto perché sono gli altri, familiari e partner in testa, che ce lo ricordano costantemente.
La paura per un processo che tende verso la cronicizzazione e l’irreversibilità porta chi ci sta intorno a cercare di fare qualcosa per aiutare a risolvere un problema che, però, per l’anoressica non è così grave come sembra agli altri.
A questo punto c’è una lotta che si crea tra il paziente e gli altri, compresi i sistemi di cura tradizionali che noi chiamiamo conflitto psico-sociale.
Ad ogni occasione si cerca di convincere il paziente a mangiare, spesso si assistono a minacce, e la maggior parte delle volte i genitori preparano la tavola anche se sanno che il proprio figlio non mangerà, come se “nutrissero” la speranza che avvenga un miracolo. Ogni atto teso a cercare di convincere il paziente a mangiare è destinato a fallire e alimenta incomprensioni che portano il paziente a mantenere il sintomo.
Il sintomo per il paziente è una conquista e più si andrà contro tale conquista anche se patologica e disfunzionale, maggiore sarà la possibilità che il sintomo si cronicizzi.
Questo “desiderare il sintomo” (desiderio non cosciente) nasce dal loop disfunzionale che si genera dal conflitto psico-sociale di cui abbiamo parlato.

Quando il paziente con anoressia è un adolescente l’intervento psicologico parallelo sul paziente e sui genitori è auspicabile. Si chiede però al genitore uno sforzo nell’accettare a volte indicazioni che possono sembrare contrarie al senso comune.
L’intervento psicologico è mediamente breve. Nei casi di pazienti fino ai 30 anni in genere la durata media è di 15-20 sedute più un breve processo di mantenimento.
L’intervento psicologico è valido finché il paziente non abbia raggiunto il limite di peso sotto il quale è necessario il ricovero ospedaliero.

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QUALI SONO LE CAUSE DELL’ANORESSIA?

Le cause di questa malattia non sono ancora chiare, infatti possono essere molteplici. Nel tentativo di risalire alle origini dei disturbi dell’alimentazione gli scienziati hanno preso in considerazione la personalità, il bagaglio genetico, l’ambiente e le caratteristiche biochimiche dei pazienti.

Alcuni tratti della personalità che accomunano gli anoressici sono una scarsa stima di sé stessi, asocialità, e una tendenza al perfezionismo. Questi soggetti si rivelano spesso buoni studenti ed ottimi atleti.

I disturbi dell’alimentazione si ripetono spesso fra gli appartenenti alla stessa famiglia, in particolare fra i parenti di sesso femminile. Una ragazza ha una  possibilità da 10 a 20 volte superiore di sviluppare l’anoressia se per esempio ha un fratello o una sorella affetti da questa patologia.Queste scoperte farebbero pensare che fattori genetici siano alla base della predisposizione ai disturbi del comportamento alimentare o l’apprendimento dai famigliari del mito della magrezza. Modi comportamentali e l’ambiente possono rivelarsi concause.

I disturbi dell’alimentazione sono diffusi soprattutto nei Paesi occidentali ed in quelli industrializzati, dove la magrezza è diventata un modello di fascino.
Certamente gli stress possono aumentare il rischio dei disturbi del comportamento alimentare, ma possono essere causa anche di altri disturbi della personalità.

L’anoressia come gli altri disturbi del comportamento alimentare e più in generale come i disturbi fobico-ossessivi può essere considerato un disturbo psico-sociale.
Questo significa che per la comprensione dei processi che mantengono il disturbo nel tempo non possiamo non considerare gli aspetti relazionali e sociali della vita del paziente.
Le anoressiche, tendono a presentarsi come persone estremamente dotate, intelligenti, capaci. Addirittura possono essere ottime cuoche e cucinare spesso per gli altri, familiari . A scuola ottengono generalmente buoni se non ottimi risultati. Quando questo accade l’ipotesi di un disturbo ossessivo-compulsivo di personalità sottostante è da tenere maggiormente in considerazione.
psicologia roma anoressiaIn realtà il paziente con diagnosi di anoressia è probabile che non abbia potuto sperimentare e sviluppare un controllo interpersonale nei confronti delle figure significative di riferimento (in particolare i genitori). Significa che non c’è stata la possibilità, soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo psicologico, di sperimentare quello che in psicologia definiamo senso di volizione ovvero la sensazione di essere noi, con comportamenti e pensieri, a condizionare gli eventi.
Questo porta il paziente anoressico a rivolgere il proprio controllo su se stesso e sul proprio corpo. Non mangiare significa per il paziente con diagnosi di anoressia sentire che agisce un controllo volontario superiore ad una spinta “fisiologica” dell’organismo. Questo offre sensazione di potere. In genere nelle prime fasi dello sviluppo patologico c’è un picco di euforia che scaturisce proprio dalla sensazione di gestione e controllo.
Poi si passa inesorabilmente verso una fase più cupa in cui tutta l’attenzione sarà posta sull’essere malati, sul sentirsi malati. Non tanto perché ci si può rendere conto di essere anoressici, ma quanto perché sono gli altri, familiari e partner in testa, che ce lo ricordano costantemente.
La paura per un processo che tende verso la cronicizzazione e l’irreversibilità porta chi ci sta intorno a cercare di fare qualcosa per aiutare a risolvere un problema che, però, per l’anoressica non è così grave come sembra agli altri.
A questo punto c’è una lotta che si crea tra il paziente e gli altri, compresi i sistemi di cura tradizionali che noi chiamiamo conflitto psico-sociale.
Ad ogni occasione si cerca di convincere il paziente a mangiare, spesso si assistono a minacce, e la maggior parte delle volte i genitori preparano la tavola anche se sanno che il proprio figlio non mangerà, come se “nutrissero” la speranza che avvenga un miracolo. Ogni atto teso a cercare di convincere il paziente a mangiare è destinato a fallire e alimenta incomprensioni che portano il paziente a mantenere il sintomo.
Il sintomo per il paziente è una conquista e più si andrà contro tale conquista anche se patologica e disfunzionale, maggiore sarà la possibilità che il sintomo si cronicizzi.
Questo “desiderare il sintomo” (desiderio non cosciente) nasce dal loop disfunzionale che si genera dal conflitto psico-sociale di cui abbiamo parlato.

Quando il paziente con anoressia è un adolescente l’intervento psicologico parallelo sul paziente e sui genitori è auspicabile. Si chiede però al genitore uno sforzo nell’accettare a volte indicazioni che possono sembrare contrarie al senso comune.
L’intervento psicologico è mediamente breve. Nei casi di pazienti fino ai 30 anni in genere la durata media è di 15-20 sedute più un breve processo di mantenimento.
L’intervento psicologico è valido finché il paziente non abbia raggiunto il limite di peso sotto il quale è necessario il ricovero ospedaliero.

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