Bullismo- Dott.ssa Fanny Migliaccio psicologa, Roma
Con il termine bullismo, traduzione italiana dell’inglese “bullying”, definiamo un insieme di comportamenti con i quali qualcuno compie ripetutamente azioni o affermazioni per avere potere su un’altra persona o per dominarla.
Si tratta di una definizione più complessa rispetto a quanto non appaia a prima vista, poiché non si riferisce ad un singolo atto, ma ad una situazione relazionale considerata nel suo svolgersi nel tempo.
Rispetto ai normali conflitti fra coetanei (anche di età molto giovane), il bullismo si distingue per la presenza di alcune caratteristiche essenziali:
- la prima è l’intenzionalità: il bullo mette in atto comportamenti aggressivi con lo scopo di offendere l’altro e di recargli danno o disagio;
- la seconda è la persistenza: la ripetitività dei comportamenti di prepotenza nei confronti delle vittime;
- la terza è l’interazione asimmetrica: il disequilibrio di forza fisica o psicologica tra bullo e vittima;
- l’ultima riguarda il comportamento di attacco: azioni offensive o aggressive nei confronti della vittima.
I comportamenti aggressivi dei bambini in età scolare, soprattutto nelle società occidentali, costituiscono un problema a più livelli, sia per la problematicità del comportamento stesso e della sua gestione, sia a lungo termine, per il fatto che i bambini “aggressivi” presentano più frequentemente difficoltà relative al rendimento scolastico e alle competenze sociali, con conseguenze che si ripercuotono negli anni, come lo sviluppo di comportamenti criminali, l’abuso di sostanze e comportamenti che mettono a rischio la propria salute e incolumità fisica.
Anche se rimane indubbiamente vero che l’esposizione a modelli violenti sia nei mass media che nel mondo reale rappresentano una parte centrale nel creare una struttura cognitiva ed emotiva nel bambino favorevole allo sviluppo e al mantenimento di comportamenti aggressivi (Huesmann, 1998), il ruolo chiave ce l’hanno sempre i genitori. Ebbene sì. Sembrerebbe che ancora una volta la “colpa” o, meglio, la responsabilità di tutto ciò, cada su mamma e papà.
CAUSE E CONCAUSE DEL BULLISMO
Secondo gli studi effettuati negli ultimi anni, cause e concause del fenomeno sarebbero diverse, e spesso concatenate fra loro.
Fra le principali cause:
– scarsa competenza sociale da parte di entrambi i soggetti, bullo e vittima, che potrebbe derivare dallo sviluppo di una modalità di attaccamento poco corretta nei confronti dell’adulto caregiver (di solito, la madre) durante i primi mesi di vita del bambino
– crisi del ruolo paterno, ormai diventato troppo “amicale”. I padri, infatti, non sarebbero più in grado di mantenere autorevolezza e di insegnare l’esistenza del senso del dovere e della regola, come “limitatore della libertà personale”
– abbassamento, da parte dei ragazzi, della soglia della violenza e del senso della giustizia, e totale concentrazione su se stessi, a causa dell’eccessiva tolleranza adottata nello stile educativo genitoriale
– crisi di valori da parte della società adulta, che non è più in grado di offrire punti di riferimento sicuri e modelli positivi di confronto per l’espressione del disagio degli adolescenti
– crisi di valori da parte della famiglia, soprattutto se “allargata” e portatrice di problemi a livello di relazione, che non sa più aiutare gli adolescenti e i pre-adolescenti nel processo di costruzione della propria identità. Di conseguenza, i ragazzi si rivolgono al gruppo dei pari, che diventa la “famiglia – surrogato” all’interno della quale esprimere bisogni e desideri.
Fra le concause è possibile ritrovare:
– problemi a livello psichico di uno dei genitori (anche non conclamati)
– dinamiche comportamentali non contenute dagli insegnanti che hanno in carico i bambini/
Il bullismo non è un problema solo per la vittima, è un problema anche per tutte le persone che sanno che questi comportamenti avvengono nella scuola o che vi assistono, per il clima di tensione e di insicurezza che si instaura.
Soprattutto nei casi di bullismo è fondamentale che l’intervento sia precoce, al fine di modificare per tempo i comportamenti inadeguati, mentre risulta meno valevole agire sulla psicopatologia ormai conclamata.
Anche l’intervento diretto sulla vittima, pur efficace a fini individuali, non lo è per quanto riguarda la riduzione del fenomeno: la preda cesserà di essere tale e il bullo ne cercherà presto un’altra con le stesse caratteristiche.
Per scongiurare lo sviluppo del fenomeno i docenti possono:
- affrontare in classe l’argomento con rilevazioni e discussioni
- controllare gli spazi e i momenti meno strutturati
- collaborare con alunni e genitori per rendere palesi le potenziali situazioni di prepotenza e per cercare soluzioni ai conflitti sottostanti
- promuovere la comunicazione trovando il giusto equilibrio tra fermezza, comprensione e sostegno.
Per prima cosa è basilare l’ascolto: i segnali di rivolta dei ragazzi non vanno repressi sul nascere, ma raccolti e analizzati come stimoli per un cambiamento.
Per questo è molto importante stimolare e favorire il dialogo in un clima di chiarezza e serenità che risulti il meno punitivo e colpevolizzante possibile.
In secondo luogo gli insegnanti devono porsi come modello comportamentale per i propri alunni mostrando loro come gestire in modo maturo ed equilibrato le loro relazioni sociali.
Questo non significa fare le veci dei genitori, semmai vuol dire integrare la loro azione mettendo di fronte al ragazzo altre figure adulte a cui appoggiarsi e a cui fare riferimento in caso di bisogno.
È fondamentale inoltre una collaborazione stretta e costante con le famiglie per far capire ai genitori che i loro figli possono assumere atteggiamenti diversi a seconda dell’ambiente in cui si trovano.
Comunicazione e dialogo quindi: solo così i piccoli bulli crescono e cambiano.
Ogni insegnante infatti può agevolmente dedicarsi ad una attenta e scrupolosa osservazione di “particolari sintomi” della condotta dell’alunno a lui affidato dalla famiglia e contribuire a prevenire e debellare completamente il bullismo, seguendo un procedimento, che si sviluppa in tre fasi:
riconoscere i bulli,
esaminare la loro insoddisfazione e le loro esigenze,
provvedere agli interventi emendativi e terapeutici secondo i casi.
L’azione preventiva deve essere rivolta a tutti gli alunni e non direttamente ai possibili bulli, poiché, al fine di un cambiamento duraturo e generalizzato, risulta più efficace agire sulla comunità che sul singolo. Infatti il potenziale bullo non è motivato al cambiamento in quanto le sue azioni non sono percepite da lui come un problema.