Disturbi del sonno
Dott.ssa Fanny Migliaccio
Shakespeare definiva il sonno “un balsamo per la dolente anima stanca”, dormire è infatti fondamentale per il buon funzionamento dell’organismo e per mantenere un efficace equilibrio psicofisico. Quando il sonno è disturbato o interrotto durante la notte, o quando è difficile riuscire ad addormentarsi, vuol dire che qualcosa non funziona come dovrebbe, il nostro organismo ci sta dicendo qualcosa. Di solito, quasi sempre, sono le ansie e i pensieri che ci impediscono di rilassarci completamente . In alcuni casi è sufficiente prendere una tisana, fare un bagno caldo, leggere a letto… ma quando tutto ciò non basta, vuol dire che abbiamo a che fare con i cosiddetti “disturbi del sonno”.
C’è un orologio interno al nostro organismo che regola e gestisce il funzionamento dei vari apparati e attiva la produzione di ormoni ed enzimi. Il meccanismo si chiama “ritmo circadiano” e dura venticinque ore. La regolarità dell’orologio e del ciclo cambia in funzione dell’età. Il problema attuale è che si stanno rispettando sempre meno i ritmi dell’orologio interno e rimaniamo così con debiti di sonno sempre più ampi. In questo modo cambiamo anche le fasi metaboliche della produzione di ormoni, aumenta il battito cardiaco e si moltiplicano le condizioni che portano a oltrepassare la soglia di stress.
Il sonno è un processo fisiologico attivo . Durante questo stato avvengono infatti complessi cambiamenti a livello cerebrale che non possono essere spiegati solo come un semplice riposo psicofisico. Dormire a sufficienza rafforza il sistema immunitario favorendo la formazione di anticorpi, migliora la regolazione della glicemia ed è biologicamente necessario per sostenere la vita. Si tratta di un comportamento quotidiano che appare naturale a chi ne gode ma che in realtà si svolge secondo regole assai delicate e complesse. Oggi gli impegni quotidiani ci assillano e soffriamo di una lunga serie di disturbi del sonno. Durante la notte tutte le funzioni sono rallentate e il corpo rilassato ma alcune parti del cervello sono sveglie come “sentinelle” per proteggere il sonno. Attenzione anche al proprio bioritmo: c’è chi prende sonno tardi la sera e dorme di più al mattino e chi preferisce andare a letto presto e svegliarsi prima. Assecondate queste caratteristiche perché contrastarle rende il riposo più difficile e meno efficace!
I disturbi del sonno sono una quantità illimitata ma gli esperti ne identificano circa ottantaquattro.
Sono divisi in due categorie: le dissonnie e le parasonnie.
Le prime si manifestano durante il sonno, modificandone la quantità e la qualità del ritmo.
Le seconde sono disturbi che si manifestano in concomitanza alla fase onirica, durante i sogni.
DISSONNIE: l’insonnia, l’ipersonnia, la narcolessia, il disturbo del sonno correlato alla respirazione (apnea notturna) e il disturbo del ritmo circadiano del sonno.
PARASONNIE: il disturbo da incubi, il terrore nel sonno (Pavor Nocturnus), il sonnambulismo, la sindrome da gambe senza riposo,il bruxismo e l’enuresi notturna.
I comportamenti più comuni causati da alterazioni o mancanza di sonno sono:
- Sonnolenza continua durante il giorno (NARCOLESSIA)
- Sensazione di non aver riposato nonostante aver dormito sufficientemente (IPERSONNIA)
- Sonnolenza, nervosismo, emicranie per la difficoltà al raggiungimento ed al mantenimento del sonno (INSONNIA)
- Stress dovuto a ripetuti risvegli dovuti ad incubi durante la notte (INCUBI)
- Stanchezza e nervosismo a causa di sogni terrorizzanti che non causano risvegli, ma non permettono un sonno ristoratore (PAVOR NOCTURNUS)
- Stanchezza durante il giorno a causa di continui risvegli notturni, dovuti a problemi di respirazione (APNEA)
- Irritabilità e stanchezza per i ripetuti episodi di sonnambulismo, accompagnati da amnesia dell’accaduto (SONNAMBULISMO)
- Stress e sonnolenza durante il giorno a causa dell’ incontinenza urinaria durante la notte (ENURESI NOTTURNA)
L’insonnia è la difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, non è una malattia ma un sintomo. Essa può derivare da vari disturbi fisici ed emotivi o anche dall’uso di droga. Tra i disturbi del sonno è quello più comune tra i giovani e meno giovani e spesso si manifesta durante stati di ansia, nervosismo, depressione o paura. A sua volta, l’insonnia può essere acuta o transitoria, se dura meno di una settimana, sub-acuta o di breve durata, quando dura da una a tre settimane, e cronica quando dura più di tre settimane.
Lo scopo della terapia per l’insonnia è quella di :
- Identificare la natura del disturbo
- Identificare le possibili cause del problema
- Prendere consapevolezza degli eventi stressanti quotidiani
- Identificare i recenti avvenimenti traumatici che interferiscono col sonno
- Escludere la presenza di problemi di altra natura (abuso di sostanze e/o di farmaci,eccessiva caffeina, ecc.)
- Valutare un eventuale stato depressivo
- Valutare un intervento psicofarmacologico
- Scrivere un diario dei sogni
- Esplorare dentro se stessi
- Apprendere esercizi di rilassamento muscolare profondo
- Pianificare un esercizio fisico regolare
- Esplorare eventuali traumi dell’infanzia relativi all’esperienza del sonno
- Identificare possibili abusi sessuali
Consiglio per maggiori informazioni sull’argomento, la visione di questo video :
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-b1e8a52b-e4dc-428b-84ca-ea42fae726fe.html
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Psicosi: una diagnosi precoce per ridurne i danni
Casi come quello di Luca hanno spinto alcuni operatori a proporre l’inserimento di una nuova diagnosi di rischio psicosi per la prossima quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), la “bibbia” delle diagnosi di salute mentale. Per ricevere questa diagnosi, il paziente dovrebbe avere deliri o allucinazioni una volta alla settimana (in contrasto con la maggior parte del tempo per almeno un mese per psicosi clinica). Inoltre, dovrebbe essere notevolmente afflitto da quei sintomi. L’idea di inserire una tale diagnosi nel DSM è molto controversa, ma i sostenitori sostengono che i pazienti come Luca hanno bisogno di aiuto immediato, sono ad alto rischio di sviluppare in pieno una psicosi, la diagnosi precoce potrebbe essere in grado di avere risultati migliori di guarigione.
Attualmente i pazienti con diagnosi di psicosi conclamata trovano sollievo, grazie ai cosiddetti farmaci antipsicotici atipici come il risperidone e olanzapina, che aiutano a ridurre allucinazioni e deliri. I pazienti possono anche beneficiare di alcune forme di psicoterapia. E i dati suggeriscono che se tali pazienti ricevono aiuto da entrambi i metodi, i risultati saranno migliori.
Un recente articolo pubblicato sul British Journal of Clinical Psychology ci rassicura sul fatto che noi tutti nella vita abbiamo avuto o avremo, con discreta probabilità, sintomi psicotici di lieve o media entità. Sintomi simil-psicotici quali le voci, sensazioni extra-corporee, visioni religiose o allucinazioni d’altro tipo, non sembrano essere così rari tra la popolazione generale.
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Nuovo anno, nuovi propositi
Ogni anno si apre con una sfida quasi impossibile: fare (e rispettare) una lista dei buoni propositi dell’anno nuovo, ma la difficoltà è quella di trovare degli obiettivi realizzabili, ma al contempo validi e importanti.
Adoro la lista dei buoni propositi : mensile, fatta a settembre dopo l’estate, per l’anno venturo, o solamente scritta per se stessi, per fare il punto della situazione e chiarirsi le idee. Non so se per voi è lo stesso, ma per me la fine dell’anno è il momento in cui decido di lasciarmi alle spalle le cose che non voglio più e di descrivere, in teoria, in una lista, ciò che vorrei che fosse la mia vita, i buoni propositi da realizzare, le cose da valorizzare e approfondire, migliorare e portare avanti con me. Mi piace scriverla perché riesco finalmente a soffermarmi, rallentare e progettare qualcosa di davvero mio, in silenzio sul divano, con la musica sottofondo. Si dice che gli uomini redigano questo tipo di liste per stabilire obiettivi specifici e metterli in chiaro, le loro liste sono private; le liste delle donne sono invece più pubbliche, condivise, per loro è più importante rendere pubblici gli obiettivi e condividerli con familiari e amici che possono sostenerle nel raggiungerli… che ne pensate? La difficoltà è quella di trovare degli obiettivi realizzabili, ma al contempo validi e importanti.
Tanti, veramente tanti si lamentano per la loro situazione lavorativa, personale, amorosa ma pochi, veramente pochi, fanno realmente qualcosa per modificare ciò che non gli piace o peggio, li fa soffrire. Si da la colpa sempre ad altri, a qualcuno che ci ostacola, influenza, scoraggia, a qualcosa che si poteva fare ma non si è ancora fatto, col risultato che poi non si prova mai a raggiungere nessun obiettivo. Ma allora perché non agiamo per migliorare la nostra situazione? Perché è tanto difficile tradurre in realtà una lista di buoni propositi? Perché anche semplici decisioni (es. come interrompere una brutta abitudine, iscriversi in palestra o a nuoto, rimandare una visita importante o una decisione ecc.) sembrano scelte faticose e difficili e ciò ci spinge a non agire. La risposta è nel fatto che siamo poco abituati al cambiamento. Preferiamo restare dove siamo anche se non ci fa stare bene, anche se siamo consapevoli che potremmo avere di più. Abbiamo un paura che il nuovo possa essere peggio del vecchio e scoviamo mille scuse e giustificazioni per non muoverci da dove siamo. Fate un esperimento per capire la “resistenza al cambiamento”, alzatevi a adesso e bevete un bicchiere di acqua.
Forse lo hai fatto, oppure no, per pigrizia, hai pensato che tanto è inutile e non serve a niente. Che tu lo abbia fatto o meno hai comunque sperimentato una resistenza, una tensione, una spinta all’azione bilanciata o meno, da una spinta all’immobilismo. Ecco questo è ciò che accade sempre. Eppure la maggior parte della nostra vita è formata da tanti piccoli gesti che sommati tra loro creano grandi eventi. Impariamo dalle piccole cose, dai piccoli gesti, ad abituare la nostra volontà, a prendere decisioni.
Cosa ci può aiutare nel mantenere fede alle promesse che ci siamo fatti nei primi giorni di gennaio? Sicuramente alcune caratteristiche sono d’aiuto, come l’ottimismo e l’autostima che aumentano la percezione di avere il controllo sulla propria vita. Un gruppo di ricercatori dell’Università della California ha pubblicato uno studio che rivela un gene alla base di queste importanti risorse psicologiche. Il gene è associato a un recettore dell’ossitocina, ormone protagonista nella relazione mamma- bambino, che può avere due varianti. Una delle due è associata a sensibilità allo stress, a minori capacità sociali e un più debole stato di salute. I ricercatori hanno messo in luce che la stessa variante è presente in coloro che hanno scarsa autostima e che in generale, non sentono di avere in mano il proprio destino.
Quali possono essere le cause di un fallimento? Tra le scuse più adottate c’è la mancanza di tempo a causa dei molteplici impegni quotidiani. Di sicuro però è nella scelta del proposito che cominciano i problemi. Il proponimento espresso in negativo (non fare…) è più difficile da mantenere, così come impegni al di fuori della nostra portata che si avvicinano più a un sogno che a un obiettivo. Cosa può aiutare a mantenere fede ai propositi dell’anno nuovo:
– condividere il proposito con gli altri: sapere che qualcuno potrebbe constatare il fallimento è una forte spinta ad impegnarsi;
– dividere l’obiettivo in un piano articolato in più sottopassaggi ordinati temporalmente;
– fare una lista dei possibili ostacoli così da essere preparati ad affrontarli senza lasciarsi abbattere.
A questo punto però si dovrebbe fare il passo successivo, che è quello di stilare la lista delle cose che vogliamo nella nostra vita, e prendersi del tempo per visualizzare la vita che vorremmo. Molta gente, invece e purtroppo, non passa mai a questa fase, o perché hanno paura di essere chiamati sognatori o perché in realtà non credono che le cose cambieranno mai, dato che l’evidenza della realtà che vivono continua a raccontare la solita vecchia storia!
Invece è proprio questo che li farà cadere negli stessi errori del passato e che non farà mai cambiare la realtà che vedono davanti ai loro occhi.
Quindi state bene attenti quando formulate i vostri nuovi propositi per quest’anno e siate sicuri di stare formulando delle affermazioni positive e che vi state focalizzando su come vi volete sentire e non sul come non volete sentirvi più!
Perché se continuiamo a porre l’attenzione su quello che non vogliamo più laLegge d’Attrazione ce ne darà ancora e ancora, perché quelle cose che non vogliamo stanno dominando la nostra vibrazione.
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Le amiche della sposa-intervista alla Dott.ssa Fanny Migliaccio
Sito web : http://www.cosmopolitan.it/for-you/Quando-l-amica-si-sposa
Una scena del film Le Amiche della Sposa
La tua migliore amica sta per salire all’altare e temi che il vostro rapporto possa cambiare? Ecco i consigli dell’esperta per rinnovare la vostra amicizia.
La tua migliora amica si sposa e tu ti chiedi che cosa succederà al vostro rapporto? Che ne sarà delle vostre chiacchere, degli aperitivi, delle serate in discoteca? Quando la persona che ha condiviso con noi gioie e dolori sta per pronunciare il fatidico “sì, lo voglio”, oltre alla gioia di vedere la nostra migliore amica salire all’altare, felici che (almeno lei) abbia trovato l’uomo dei sogni, c’è anche la paura di perdere un legame esclusivo. Proprio come è successo a Annie, la protagonista del film Le Amiche della Sposa, dal 6 dicembre disponibile in Dvd e Blu-ray (per chi se lo è perso e per chi pensa che rivederlo con le amiche possa strappare un sorriso). Come ci si può relazionare a una realtà così differente? Abbiamo chiesto consigli su come reagire e quali sono i comportamenti più adatti da adottare in tali situazioni alla psicoterapeuta Fanny Migliaccio, specializzata in dinamiche relazionali e gestione delle emozioni.
Il matrimonio di un’amica è sicuramente un momento felice da condividere con lei, ma può essere anche l’occasione (come succede alla protagonista del film, Annie) per fare il bilancio della propria vita o sulla situazione sentimentale di entrambe. E’ possibile che nascano contrasti o gelosie? Come affrontarle?
“Credo che sia più che naturale provare un po’ di invidia e gelosia per l’amica che realizza un sogno; quello che reputo importante è che l’invidia sia sana, e che non comprometta l’amicizia e l’affetto con l’amica che sta per sposarsi. Provarla non deve farci sentire in colpa, al contrario, può suscitare in noi delle domande sul perché la proviamo: forse siamo stanchi di vivere sull’Isola che non c’è come eterne Peter Pan, o di raccontarci che la convivenza è esattamente come essere sposati senza troppi vincoli, o che il matrimonio è solo un grande spreco di soldi e di energia. Insomma, ce ne sarebbero di domande da farsi, ma la cosa più importante è riuscire ad essere sinceri con se stessi e con gli altri. Per tutti questi motivi si può raccontare all’amica che sta per sposarsi di essere un po’ invidiosa, e la reazione sarà meno negativa di quel che immaginiamo. In fondo ad ogni sposa non può far che piacere essere invidiata (apertamente) dalle sue amiche”.
Nel film, due amiche della sposa molto diverse tra loro entrano in competizione per avere un ruolo di primo piano nell’organizzazione della cerimonia dando origine ad una serie di piccole ed esilaranti catastrofi. Come riuscire a far prevalere l’interesse della sposa piuttosto che il nostro ego? E come gestire al meglio i rapporti con le altre persone coinvolte nei preparativi anche se non c’è feeling?
“La sposa, di solito, chiede aiuto non solo alle amiche più care (cugine, sorelle che siano), ma anche a quelle che hanno buon gusto estetico e capacità decisionali migliori delle sue. Questo porta a dover decidere in tante persone ed andare d’accordo con gli altri, in queste occasioni, è sempre difficile, i gusti sono diversi e, a volte, sembra che l’importante sia averla vinta, piuttosto che riuscire a ragionare sul perché di una determinata scelta. Accade che gli interessi della sposa cadano in secondo piano, a scapito della buona riuscita del matrimonio stesso. Per non parlare dello stress che spesso la sposa deve vivere a causa delle incomprensioni che nascono tra i vari improvvisati organizzatori. Se tra questi ultimi vi sono delle amiche vere e sincere credo che si farà di tutto per non mettere in difficoltà la sposa, anche a costo di dover soccombere alle decisioni dei più prepotenti: basterebbe avere non solo affetto sincero e rispetto per l’amica che sta per sposarsi, ma anche tanto buon senso per non cadere nella trappola della competizione”.
La scelta del testimone è spesso una “prova del fuoco” per alcune amicizie. Come affrontare delusioni in tal senso? E come può invece la sposa gestire una situazione spinosa che rischia di generare incomprensioni?
“La scelta del testimone è causa di lunghe e animate discussioni con i propri parenti e amici. Scegliere tra tante amiche o amici, fratelli, cugini diventa un momento delicato per gli sposi. Tanto è vero che molti preferiscono scegliere un fratello o una sorella, sempre che ce l’abbiano, per evitare fraintendimenti. Essere sicuri di diventare la testimone della sposa e poi scoprire di non essere state prescelte, certo, è una bella delusione. Sicuramente, per l’amica delusa fare finta di niente non è proprio facile, sapere di essere stata la seconda scelta e non la prima, oppure di essere stata preferita alla collega d’ufficio che si conosce da poco… insomma è un bell’affronto. Neanche per la sposa sarà facile comunicare la notizia all’amica delusa ma, in un modo o nell’altro, dovrà affrontarla, spiegandole che questo non vuol dire che non la considera importante. Ci sono dei momenti della vita che ci si sente legati a qualcuno più che ad altri, senza sapere il perché, oppure per diverse coincidenze lo si frequenta di più. Credo che queste siano delle buone spiegazioni da poter dare ad un’amica amareggiata. L’importante è non ignorare il suo dolore e la sua delusione, se si è veramente amiche le incomprensioni si superano, per poter vivere anche più serenamente il giorno del proprio matrimonio”.
Se la futura sposa è concentrata solo sull’imminente cerimonia e non ha più tempo o voglia di dare spazio ai problemi delle amiche, c’è un modo per farle capire che il matrimonio non è una priorità del mondo intero e che si possono (giustamente) avere altri pensieri?
“Come si può dire ad una futura sposa che in testa non ha che modelli di abiti bianchi, colore delle tovaglie da cerimonia, qualità dei fiori per la chiesa, prototipi di partecipazioni, numero di invitati e che non trova cinque minuti da dedicare alla sua migliore amica, che quest’ultima sta vivendo un momento di difficoltà? Non le si può dire nulla. La sposa vive quei giorni come se al mondo non ci fossero guerre, carestie e come se tutti non aspettassero altro che il giorno del suo matrimonio arrivi. Come si può biasimarla? Le amiche, forse, potranno attendere che quel giorno passi, magari sperando che tra un fioraio e una tipografia, la sposa si accorga che al mondo non esiste solo lei”.
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Disturbo bipolare
DISTURBO BIPOLARE, SEMPRE PIÙ DA VIP
Articolo tratto da http://www.medicina-benessere.com
La malattia bipolare è una patologia concreta e molto grave, in cui il paziente alterna umoralità euforiche a momenti di grave depressione:
il vero paziente affetto da malattie bipolare vive quindi il disagio di un’instabilità emotiva che gli rende difficile vivere normalmente
e con serenità, è assistito da personale medico e in genere tenuto sotto controllo da terapia farmacologica adeguata.
Gli stadi di euforia della malattia bipolare sono caratterizzati da megalomanie, slanci affettivi incontrollati, generosità economica eccessiva, un’energia che porta i malati a non mangiare e dormire per giorni, a sentire voci e a parlare quasi ininterrottamente. Gli stati di depressione durano lo stesso molto tempo, sono caratterizzati da totale apatia, prostrazione, pianto incontrollato e frequente, manie persecutorie o suicide.
Tuttavia sembra che sempre più persone perfettamente sane giochino a emulare questo grave disturbo psicologico, con l’effetto di ridicolizzare la malattia bipolare e anche chi ne soffre. Sembra infatti che in seguito alle confessioni di alcune celebrità tra cui Mel Gibson e Robbie Williams (persone che, lungi dal pensare che la propria umoralità sia una conseguenza dell’abuso di alcol e droghe, si dichiarano affette da malattia bipolare) il disturbo bipolare sia diventato di moda.
Con il risultato di fare migliaia e migliaia di adepti, quasi che una malattia psicologica sia sinonimo di creatività, personalità, maggiore sensibilità o intelligenza. Tanto che non ci si stupisce da quante persone si dichiarano affette da malattia bipolare senza esserlo davvero: così, per gioco, o perché ci si sente un po’ giù e vantarsi dei propri stati d’animo è diventato cool.
Esiste così un gruppo su facebook e molti personal blog in cui gli autori parlano con tranquillità di bipolarismo, e chiedono in giro farmaci per curarsi.
Tanto che in Inghilterra due psichiatri del servizio sanitario nazionale hanno persino lanciato un clamoroso allarme su quanti falsi malati confondano un’umoralità normale con la malattia bipolare. L’idea è che l’auto-diagnosi sia sempre più una mistificazione della realtà della vita del paziente e sempre più un abbaglio che confonde gli operatori, fa perdere tempo alle persone di competenza e prende in giro chi invece soffre sul serio.
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Resilienza psicologica
LA FORZA NELLA SCONFITTA: LA RESILIENZA
Articolo tratto da http://www.medicina-benessere.com
La vita e le esperienze non si scelgono, ma il modo di affrontarle imparando dagli errori è possibile. Si chiama resilienza ed è un atteggiamento mentale, favorevole alle avveristà della vita, perchè è la capacità dell’uomo di affrontare e superare i momenti difficili, di superarli e di uscirne rinforzato e addirittura trasformato positivamente. Ecco come imparare a diventare persone resilienti e vedere la vita con occhi diversi.
Una parola per molti significati che vanno dall’ingegneria, alla psicologia e a diversi aspetti della salute psicolo
gica dell’uomo. Si dice “resilienza” e sta per riadattamento ai mille cambiamenti che la vita ci propone e che spesso possono portarci ad attraversare momenti di grande infelicità e sofferenza. Un noto motto diceva: “barcollo ma non mollo”. la teoria psicologica e gli esercizi mentali relativi alla resilienza ci aiutano a capire come fare.
Lo stretto legame tra la parola “resilienza” e psicologia nasce dalla sua etimologia e dalle diverse applicazioni in campo ingegneristico e fisico dello stesso termine. Tutte queste sovrapposizioni infatti dicono che resilienza sta per: capacità di resistere ad urti e pressioni, negatività e traumi di ogni genere, ma anche capacità di adattamento, elasticità, flessibilità, capacità di autoripararsi dopo un danno, recupero dell’equilibrio e dello stato di salute. Insomma, non c’è parola come resilienza che indichi qualcosa di più positivo e propositivo. Per questo la psicologia intende per resilienza “non solo la capacità di opporsi alle pressioni dell’ambiente, ma una dinamica positiva, una capacità di andare avanti, non si limita a una resistenza, ma permette la costruzione, anzi la ricostruzione di un percorso di vita” (Stefan Vanistendael, 2000). Così come il nostro sistema immunitario è in grado autonomamente di difendersi e contrastare gli attacchi dei patogeni esterni, così la nostra mente e la nostra forza emotiva può essere allenata a resistere ai colpi della vita, alle prove e alle delusioni. Il vero segreto della resilienza infatti non è tanto saper ottenere i risultati prefissati, ma iniziare a trasformare un’esperienza dolorosa in apprendimento, utile al miglioramento della qualità di vita, al raggiungimento dei propri obiettivi e all’organizzazione di un percorso autonomo e soddisfacente. L’azione della resilienza può essere paragonata al sistema immunitario con cui il nostro organismo risponde alle aggressioni dei batteri.
Se non possiamo fare a meno di provare dolore, assistere alle sconfitte nel nostro percorso professionale e personale, vivere momenti di contrasto e depressione, allora perchè non utilizzarli a nostro vantaggio? C’è chi nasce con determinate propensioni caratteriali favorevoli ad una visione resiliente, sono gli ottimisti, quelli che vedono il bicchiere mezzo pieno e che dopo una sconfitta riescono ad alzarsi in piedi e a vincere. Ma la resilienza si può anche apprendere con il tempo. Gli individui resilienti sono coloro che hanno trovato in se stessi, nelle relazioni umane, nei contesti di vita gli elementi e la forza per superare le avversità. Allora perchè non iniziare già da ora a vedere la propria vita con uno spirito adattivo diverso e molto più produttivo? Un percorso di resilienza implica una funzione psichica che si modifica nel tempo in rapporto con l’esperienza, i vissuti e, soprattutto, con il modificarsi dei meccanismi mentali che la sottendono. Proprio per questo troviamo capacità resilienti di tipo istintivo, caratteristico dei primi anni di vita quando i meccanismi mentali sono dominati da egocentrismo e onnipotenza; affettivo, che rispecchia la maturazione affettiva, il senso dei valori, il senso di sé e la socializzazione; cognitivo, quando il soggetto può utilizzare le capacità intellettive simbolico-razionali. Come capacità che può essere appresa la resilienza è strettamente connessa al ripristino della qualità degli ambienti di vita, in particolare i contesti educativi e trova la sua migliore applicazione in ambito comunitario nell’analisi dei contesti sociali successivi a gravi catastrofi di tipo naturale o dovute all’azione dell’uomo quali, ad esempio, attentati terroristici, rivoluzioni o guerre. Se vuoi saperne di più scopri chi sono gli individui resilienti.
Ma come si fa a scoprire e cominciare a beneficiare del proprio spirito resiliente? Come facciamo a diventare individui resilienti? Basta cominciare dalla vita di tutti i giorni, cercando di creare rapporti positivi con le persone e aprendoci a chi vuole avvicinarsi a noi, vedendo le crisi e i momenti difficili come un’opportunità e una sfida, non come una sconfitta, accettando il cambiamento come una parte necessaria e naturale della vita, muovendosi con determinazione e decisione verso i propri obiettivi per raggiungerli, rendendosi disponibili alle esperienze nuove di apprendimento. Se vuoi saperne di piùscopri come diventare un resiliente.
American Psychological Association
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L’Approccio Gestalt
Psicoterapia – Dott.ssa Fanny Migliaccio psicologa, Roma
Gestalt è una parola tedesca che non ha una traduzione diretta in italiano. Approssimativamente, significa”forma”, “totalità”, “configurazione”.
La forma o configurazione di qualsiasi cosa è comoposta da una “figura” e da uno “sfondo”.
Per esempio, in questo momento, leggendo questo testo si può notare che le lettere costituiscono la figura e gli spazi bianchi lo sfondo; questa situazione può invertirsi e ciò che si trova in figura può passare sullo sfondo e viceversa.
Il fenomeno descritto, che si inscrive nell’universo della percezione, coinvolge anche tutti gli aspetti dell’esperienza.
Ad esempio, situaziozni che ci preoccupano nel momento attuale e che , quindi, si collocano in figura, nel momento in cui il problema o la necessità che le hanno create svaniscono, si trasformano in situazioni poco significative, andandosi a collocare sullo sfondo.
Ciò avviene in special modo quando si riesce a portare a termine o “chiudere” una gestalt: essa si ritira dalla nostra attenzione e va sullo sfondo, e dallo sfondo emerge una nuova gestalt sostenuta da qualche nuova necessità.
Questo ciclo di apertura e chiusura di gestalt è un processo permanente, che si produce durante tutta la nostra esistenza.
L’approccio Gestalt è un approccio olistico, ovvero percepisce gli oggetti e soprattutto gli esseri viventi come totalità.
In Gestalt si dice: “il tutto è più della somma delle parti”.
Tutto esiste e acquisissce un significato all’interno di un contesto specifico; nulla esiste per se stesso, isolato.
L’approccio Gestaltico è essenzialmente un modo di vivere la vita con i piedi ben posti per terra. Non pretende di indirizzare l’individuo verso un cammino esoterico o verso l’illuminazione.
È un modo di stare in questo mondo in forma piena, libera e aperta;
L’approccio gestaltico è anche uno stile di vita, da ciò deriva il fatto che risulti più adeguato denominarlo “approccio”, che è un termine più ampio di “terapia”, che restringe le sue possibilità di applicazione all’ambito clinico.
La consapevolezza
Questo è il concetto base su cui si fonda la Terapia Gestalt.
In poche parole, cosapevolezza significa entrare in contatto, naturale, spontaneo, nel qui ed ora, con ciò che uno è, sente e percepisce.
Questo concetto assomiglia in qualche maniera all’insight, anche se è più ampio;
La Psicoterapia della Gestalt ha come obiettivo di far sì che la persona divenga consapevole della “sua propria forma”, del suo modello e della sua interezza tramite l’integrazione di tutti i suoi aspetti, soprattutto di quelli meno consapevoli.
La terapia è centrata su tentativi di allargare la consapevolezza del sé delle persone, mediante il ricorso alle esperienze passate, ai ricordi, agli stati emotivi, alle sensazioni corporee, ai sogni, affinché l’individuo possa far emergere liberamente tutte le proprie potenzialità rimaste, fino a quel momento, sopite o represse.
Il principio del qui ed ora
è uno dei principi più importanti e fecondi della Terapia Gestalt.
Con il fine di fomentare la coscienza dell’adesso, e facilitare così la consapevolezza, suggeriamo alle persone che comunichino le loro esperienze (parlando) al tempo presente.
La forma più efficace di reintegrare nella personalità le esperienze passate è portarle nel presente, attualizzarle. una specie di concatenazione organizzata di insight.
Una caratteristica fondamentale della psicoterapia della Gestalt consiste quindi nel metodo operativo che si fonda prevalentemente sull’esperienza (anche attraverso l’utilizzo di alcune tecniche particolari), sia nel comprendere i problemi del paziente che nella scoperta ed esplorazione delle possibili soluzioni.
Nella psicoterapia individuale i colloqui si svolgono faccia a faccia; nella terapia di coppia usualmente i partners sono presenti contemporaneamente.
Ogni piccolo cambiamento viene vissuto in terapia come una esperienza viva, dove il paziente ha la possibilità di esplorare le soluzioni ai suoi problemi non solo attraverso comprensioni intellettuali e razionali ma anche grazie ad una comprensione di tipo fenomenologico che include emozioni ed esperienze corporee.
L’aspirazione è che attraverso un coinvolgimento creativo nel processo della Gestalt una persona:
- Impari a riappropriarsi delle sue esperienze, anziché proiettarle sugli altri
- Impari a prendere consapevolezza dei propri bisogni e a sviluppare la capacità di soddisfare se stessa senza prevaricare gli altri
- Arrivi a un contatto più pieno con le proprie sensazioni, imparando ad annusare, gustare, toccare, udire e vedere, assaporare tutti gli aspetti di se stesso
- Faccia esperienza del proprio potere e della propria capacità di autosostegno, anziché piagnucolare, accusare gli altri o inculcare sensi di colpa per ricevere sostegno dall’ambiente
- Diventi sensibile a ciò che lo circonda, indossando allo stesso tempo una corazza nelle situazioni che sono potenzialmente distruttive o nocive
- Impari ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni e delle loro conseguenze
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Cos’è la psicoterapia Gestalt?
La psicoterapia Gestalt
Psicoterapia Gestalt – testo wikipedia, video Dott. Paolo Baiocchi
La psicoterapia Gestalt (dove la parola tedesca Gestalt significa forma, schema, rappresentazione), detta anche psicologia della forma, è una corrente psicologica riguardante la percezione e l’esperienza che nacque e si sviluppò agli inizi del XX secolo in Germania (nel periodo tra gli anni ’10 e gli anni ’30), per poi proseguire la sua articolazione negli USA, dove i suoi principali esponenti si erano trasferiti nel periodo delle persecuzioni naziste.
Storia
La parola Gestalt fu usata per la prima volta, come termine tecnico, da Ernst Mach[1]; in seguito Edmund Husserl[2] e Christian von Ehrenfels[3] ripresero il termine da Mach nelle loro teorie psicologiche a fondamento filosofico.
Fondatori della psicologia della Gestalt sono di solito considerati Kurt Koffka, Wolfgang Köhler e Max Wertheimer che sono stati certamente i principali promotori e teorizzatori scientifici di questa corrente di ricerca in Psicologia. I loro studi psicologici si focalizzarono soprattutto sugli aspetti percettivi e del ragionamento/problem-solving. La Gestalt contribuì a sviluppare le indagini sull’apprendimento, sulla memoria, sul pensiero, sulla psicologia sociale.[4]
L’idea portante dei fondatori della psicologia della Gestalt, che il tutto fosse diverso dalla somma delle singole parti, in qualche modo si opponeva al modello dello strutturalismo, diffusosi dalla fine dell’Ottocento, ed ai suoi principi fondamentali, quali l’elementarismo.
Le teorie della Gestalt, si rivelarono altamente innovative, in quanto rintracciarono le basi del comportamento, nel modo in cui viene percepita la realtà, anziché per quella che è realmente; quindi il primo pilastro della teoria della Gestalt fu costruito sullo studio dei processi percettivi e in una percezione immediata del mondo fenomenico.[5]
Il modello teorico della Gestalt riguardante il pensiero si oppose a quello comportamentista, secondo il quale gli animali risolvevano le problematiche con un criterio costituito da tentativi ed errori, proponendo invece un criterio di spiegazione formato dal pensiero, dalla comprensione e dalla intuizione.
Anche nel settore della psicologia sociale le teorie della Gestalt entrarono in conflitto con quelle comportamentiste, che prevedevano di spiegare il comportamento sociale solo in base alle gratificazioni sociali, quali l’elogio e l’approvazione, e proposero invece la teoria dell’attribuzione che metteva in risalto le sensazioni, le percezioni, gli obiettivi, le intenzioni, le convinzioni, le motivazioni e le credenze.[4]
Successivamente, importanti studi furono condotti da Lewin con la teoria del campo e Goldstein con una teoria della personalità secondo la quale l’intero organismo partecipa al comportamento.
In seguito a partire dagli anni ’60, la Gestalt soffrì per alcuni decenni della sua difficoltà a misurarsi con l’avanzato metodo sperimentale e gli approcci psicometrici utilizzabili dal nascente movimento cognitivista, ed il suo modello di teoria della mente si dimostrò meno euristico di quello del cognitivismo in tutti i settori che non fossero legati alla psicologia della percezione. Solo in quest’ultimo ambito, per via di alcune difficoltà a spiegare alcuni fenomeni percettivi in un’ottica strettamente cognitivista, la Gestalt ha recuperato un limitato interesse alla fine del XX secolo. Interessante appare infatti l’attenzione agli aspetti fenomenici della percezione, che il cognitivismo ha in parte trascurato nel suo programma di ricerca. Anche se teorie sui campi elettrici del cervello hanno perso, col passare degli anni, la considerazione da parte dei fisiologi.
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Ansia prematrimoniale
Ansia prematrimoniale o Ansia da matrimonio.
Quando ci troviamo di fronte ad un bivio, e crediamo di saper scegliere ciò che è giusto per noi, ci accorgiamo solo dopo che qualcosa non va, non funziona come noi vorremmo ed è a questo punto che il signor Inconscio si presenta con il suo bel biglietto da visita! Lo lasciamo entrare, ma è molto fastidioso, ci crea disagio, ci fa riflettere, ci confonde. Le nostre certezze cominciano a sgretolarsi e noi lì a girarci i pollici e a chiederci: “Ma cosa mi sta succedendo?”.
Questa è la domanda che più comunemente rivolgiamo a noi stessi e alla quale non riusciamo a dare una risposta perché, quasi sempre, neanche noi abbiamo consapevolezza delle nostre emozioni, che sono così facili da definire ma così difficili da capire.
Quando un cliente arriva da me e mi chiede perché sente quella emozione, non riceve una risposta, perché solo il cliente può sapere da dove viene il suo sentire, quello che mi limito a fare è aiutarlo a cercare la strada, quella che, forse, era stata messa da parte per percorrerne un’altra all’apparenza più comoda .
I dubbi di chi sta per compiere un passo importante come quello di sposarsi sono, quasi sempre, funzionali alla propria esistenza.
E’ giusto chiedersi cosa si sta per fare, perché è giusto preoccuparsi per la propria felicità.
Mettere in discussione le nostre scelte, quelle che sembravano inevitabili e scontate, è sintomo che qualcosa sta per cambiare in noi e nella nostra vita di tutti i giorni. Sposarsi è sicuramente qualcosa che cambia la nostra quotidianità, la trasforma, e chi non avrebbe paura di questo?
L’ansia, il panico prematrimoniale sono i sintomi di tutto ciò, fanno parte dell’aver paura di scegliere la strada sbagliata, di poterci perdere e non poter tornare in dietro. Sono tanti i motivi per cui questo accade, a volte dipende dalle nostre aspettative che abbiamo paura di non soddisfare, altre volte possono dipendere dalla persona che abbiamo accanto, che ci accorgiamo non essere più quella di prima, e altre ancora possono dipendere solo da noi e da quello che stiamo vivendo.
Il grosso problema dell’ansia prematrimoniale è rappresentato dalla maturità individuale, che consente una scelta consapevole. La visione illusoria, tipica di una visione immatura della vita, avvia comportamenti apparentemente autolesionistici: “Lo sposo anche se ha tanti difetti, è destino; io lo farò cambiare“. Un senso di onnipotenza, capace di trasformare tutto a proprio piacimento, anche le persone.”
Secondo Sternberg, vi sono tre elementi determinanti per il buon funzionamento di una coppia: l’attrazione fisica (che non è eterna), il sentimento d’amore ed i fattori cognitivi. I fattori cognitivi sono importantissimi: “ti conosco e mi stai bene per quello che sei”. Quest’ultimo è il presupposto più importante per essere certi che quella con cui stiamo è effettivamente la persona con la quale si vuole condividere il destino.
Spesso si afferma, pensando al proprio partner: è la mia mezza mela, la metà coincidente con me, mi è complementare, mi completa, insieme siamo una unità. Sembrerà strano ma affermazioni di questo genere, rappresentano le premesse di sfascio di un rapporto.
Ogni individuo deve essere intero per poter amare; non si deve fare una scelta per compensare le proprie mancanze.
Da una analisi statistica emerge che il 67% negli USA ed il 30% in Italia delle coppie sono separate. Emerge che nella maggior parte dei casi per gli Stati Uniti d’America ed in una buona parte dei casi in Italia, la scelta di un partner per la vita appare poco consapevole.
Quali sono i motivi che possono creare instabilità nella coppia?
L’inconscio, per effetto di bisogni e relazioni insoddisfatte del nostro passato (rapporto padre/figlio-a, madre/figlia-o, ingranaggi di famiglia ecc.) domina le nostre scelte e ci porta a ripetere sistematicamente i medesimi errori. Il vissuto dei genitori, cioè come i genitori di un individuo si sono relazionati tra loro. I bambini osservano tutto. Osservando i disegni della loro famiglia, realizzati dai bambini, si ottiene un quadro generale di come il bambino sta vivendo la sua famiglia.
Un bambino che non si è potuto fidare dei suoi genitori nel primo periodo della sua vita, sarà incline alla diffidenza esagerata, nella vita adulta. E’ il caso di quelle mogli e di quei mariti sempre dubbiosi, che fanno vivere al proprio partner una condizione di continuo ed ingiustificato “stato di prova“.
Se non ci siamo sentiti riconosciuti da bambini, mediante l’indifferenza o la svalutazione, la tendenza a trattare con sufficienza e a svalutare il nostro partner sarà una costante del nostro modo di relazionarci con l’altro. Non è piacevole vivere a fianco ad una persona che ci svaluta. L’adulto con questa esperienza infantile è incline allo scontro, alla reazione eccessiva: ecco, non mi dici questo perchè… Sei sempre lo stesso e non cambi mai…
Una visione infantile ed illusoria del rapporto di coppia non può funzionare nel tempo. La visione matura di un rapporto è equilibrata quando le aspirazioni e le attese sono congrue con la realtà.
Quando queste sono esagerate, eccessive e non realistiche, “mi aspetto che il mio futuro marito all’occorrenza mi faccia da papà o la mia futura moglie è una persona straordinaria, non è come le altre.. ecc.“, queste distruggono il rapporto.
Il rapporto d’amore in una coppia sana è un rapporto che non ha bisogno di conferme eccessive, straordinarie e continue, è una via di mezzo tra il non troppo e non troppo poco. La libertà ed autonomia di ogni appartenente alla coppia è presente e non eccessiva. Non possiamo amare una persona della quale siamo dipendenti.
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